Cinema: l’era del muto a Hollywood

Un film muto o silent movie, se ci si esprime con la locuzione inglese, è un film senza traccia sonora e ci si riferisce all’era del muto (silent era) come a quella parte della storia del cinema, che appartiene alle sue origini, e che va pressapoco dalla fine del 19° secolo, con le prime proiezioni filmiche, al 1930 circa, col passaggio definitivo al sonoro.

Se la nascita del cinema si fa risalire al 1895, anno in cui i F.lli Lumiere presentarono il loro Cinematografo il periodo del muto arriva fino al 1927, anno in cui venne distribuito il primo film sonoro, Il cantante di jazz, un lungometraggio ancora per buona parte muto e con didascalie, ma in cui sono presenti 9 canzoni totalmente musicate e cantate e circa un minuto di dialogo parlato – durante l’esecuzione della canzone Blue Skies – , oltre a qualche frase monologica.

In realtà il primo film con la colonna sonora, per la cui fruizione non c’era bisogno di musicisti in sala, fu il Don Giovanni e Lucrezia Borgia di Alan Crosland del 1926, ma non comprendeva dialoghi. Comunque sia, il completo e definitivo passaggio al sonoro non si verificò prima del 1930.

Quindi per tutta la prima parte della sua storia il cinema si serviva solo delle immagini: non parlava“, era muto. Nei primi tempi un imbonitore presente in sala spiegava la trama al pubblico, in seguito, visto che il linguaggio cinematografico andava man mano perfezionandosi, venne sostituito da brevi didascalie e spesso la proiezione era accompagnata dalla musica di un pianoforte o di un’orchestra.

muto in sala
Proiezione di un film muto con musica dal vivo in sala

Dovendo fare a meno di dialoghi, musica e rumori per far comprendere la storia, le situazioni, i sentimenti etc. si  ricorreva all’enfatizzazione di gesti e movimenti, alla pantomima, alla mimica facciale e le sceneggiature erano basate soprattutto sull’azione e il movimento, a scapito dell’intreccio e della psicologia dei personaggi. Si doveva recitare e girare in modo da “far immaginare” il suono, che si stava producendo.

L’assenza di sonoro invece di frenare, diede spinta allo sviluppo del linguaggio cinematografico: nello sforzo di rendere comprensibile, di “far immaginare” ciò che non si poteva sentire, si sviluppavarono soluzioni estremamente ingegnose e brillanti.

Se, tecnicamente, il periodo del muto riguarda la storia del cinema dalle origini al 1927, con “silent era” ci si riferisce essenzialmente al periodo d’oro del cinema muto statunitense a Hollywood.

scritta hollywood
The Hollywood Sign (Scritta Hollywood) scritta monumentale che si trova sul Monte Lee e sovrasta il quartiere di Hollywood presso L.A. le lettere sono larghe 9 metri e alte 15 per un totale di 110 metri. La struttura fu creata negli anni venti per scopi promozionali ed è diventata col tempo uno dei simboli più conosciuti della città, nonché un’importante attrazione turistica.

Intorno al 1908 alcuni produttori, registi e artisti newyorkesi impiantarono degli studios sulla costa opposta della nazione, nei pressi di Los Angeles. La scelta era dovuta alla disponibilità di spazio su cui costruire e soprattutto alla costante illuminazione solare nell’arco dell’anno, che garantiva condizioni ideali per girare i film e impressionare le pellicole cinematografiche, con costi di produzione più economici.

La Paramount Pictures fondata l’8 maggio 1912, i più vecchi Studios tra quelli ancora esistenti.

In breve tempo il sobborgo di Los Angeles, del “bosco degli agrifogli” (Hollywood), vide la sua importanza crescere in modo esponenziale, diventando, in breve, centro di riferimento per eccellenza della cinematografia mondiale, tanto che venne coniato il termine “la mecca del cinema“, anche per la schiera di persone che essa richiamava in cerca di lavoro, fortuna e fama.

E’ in questo periodo che si afferma il producer system, un sistema secondo il quale il produttore imponeva le sue scelte, mirando a un controllo assoluto del film, a discapito del regista, dello sceneggiatore e degli attori.

La crisi del 1906 era ormai superata, il cinema riacquistava sempre più popolarità e successo, andando ad accrescere di anno in anno la produzione e gli introiti dell’industria cinematografica, fino ad arrivare ad un periodo veramente straordinario negli anni venti, the Roaring Twenties (gli Anni Ruggenti).

Nei Ruggenti Anni ’20 si afferma un’altro fenomeno destinato a perdurare nel tempo, anche se con valenze differenti: il divismo.

ll primo progetto di autodivinizzazione della propria immagine in Occidente risale ad Alessandro Magno e ad alcuni imperatori romani come Augusto, che fecero collocare statue che li rappresentavano in tutto il loro impero, dando una sensazione di onnipresenza ultraterrena alla loro figura.

Eleonora Duse, La Divina
Eleonora Duse, La Divina

La popolarità di alcuni attori teatrali ha fatto parlare di loro come i primi divi dell’epoca moderna. La popolarità permetteva loro di andare in tournée girando le città e destando l’attenzione di giornalisti e fotografi, si pensi alle attrici  Sarah Bernhardt o a Eleonora Duse, chiamata La Divina.

Il divismo cinematografico nacque in Italia dove era presente una vera industria cinematografica già dagli anni dieci. In seguito divenne un fenomeno prettamente americano, con lo sviluppo di Hollywood e delle grandi case di produzione, per le quali i “divi” costituvano una sicura fonte di guadagno.

Negli anni venti infatti l’industria hollywoodiana decise di puntare con forza sul divismo, che divenne il cardine del sistema produttivo.

Rodolfo Valentino
Rodolfo Guglielmi in arte Rudolph Valentino o semplicemente Rudy

Frutto dell’intensa collaborazione tra cinema e gli altri mass media (giornali, riviste, rotocalchi, radio, industria della musica) il divismo è un processo di “divinizzazione” di un individuo, nel senso il cui la sua immagine, diventa un’icona nella vita della gente comune.

I divi suscitavano deliri di folla feticista, e il divismo diventò presto uno dei principali fattori dell’alienazione di massa della società moderna: il divo sullo schermo, bello, etereo e soprannaturale, era un’immagine del tutto separata dalla persona in carne ed ossa, che recitava e lavorava come le persone normali.

L’immagine offerta al pubblico era abilmente costruita, e spesso distante dall’attore come essere umano, che comunque in pubblico doveva continuare a recitare questo ruolo affinchè l’illusione creata fosse completa, con risvolti psicologici per l’artista spesso non indifferenti.

Un film veniva, di solito, ideato espressamente per un volto o per un personaggio e le case di produzione tenevano sotto contratto un vivaio di giovani attori fisicamente attraenti, che venivano fatti diventare famosi, per poi sfruttarne l’immagine in una serie di film appositamente creati.

Theda Bara 1917
Theda Bara in Cleopatra del 1917

Queste figure negli anni venti e nei primi anni trenta erano molto conturbanti e trasgressive, sensuali, si pensi ai divi per eccellenza l’italiano Rodolfo Valentino, la svedese Greta Garbo, la tedesca Marlene Dietrich o la tenebrosa Theda Bara, nome d’arte derivato dall’anagramma di “Arab Death” (morte araba).

Theda Bara fu la prima “femme fatale” del cinema statunitense.

Per lei venne coniato il termine Vamp, derivato da Vampire, che da allora divenne sinonimo di donna seduttrice dal fascino altero e misterioso, una maliarda dallo charme aggressivo e dal travolgente sex appeal.

I produttori le modellarono addosso l’immagine di donna perversa e tentatrice, pubblicizzandola con foto che la ritraevano con intriganti abiti egizi o in cui è attorniata da ragnatele e serpenti.

Clara Bow
Clara Bow in “Hula” – 1927

Ai divi degli anni ’20 venivano costruite immagini molto trasgressive per l’epoca, di seduttori e seduttrici audaci e misteriosi, dal fascino aggressivo, mentre negli anni ’30 con l’entrata in vigore del Codice Hays e le sue censure, il sistema hollywoodiano si adeguò cercando di rendere meno eccessivi questi idoli delle folle, rendendoli più conformisti, più sobri, coinvolti in un amore romantico più che nella tentazione erotica.

Anche grandi artisti quali Charlie Chaplin o Buster Keaton furono dei divi, con un’immagine pubblica molto ben studiata.

Nel 1922 nacque l’associazione dei produttori americani, l’MPPDA, Motion Picture Producers and Distributors Association, un’associazione formata per promuovere gli interessi degli studi cinematografici, i cui membri erano (e sono anche oggi)  le principali case di produzione – studios – del cinema statunitense. Questa associazione ebbe un grande peso nella creazione del cinema narrativo classico, sia muto che sonoro.

Nel 1914 il  torinese Giovanni Pastrone in collaborazione col regista aragonese Segundo de Chomòn, che vi lavorò come primo operatore, e di Gabriele D’Annunzio in veste di  autore delle “didascalie vergate“, altisonanti e pompose didascalie scritte secondo lo stile dannunziano e il gusto dell’epoca, e di supervisore delle folgoranti scenografie neobarocche, realizza il primo film narrativo,  il “kolossal” Cabiria, un 35 mm di 3 ore di durata, che risulta come un complesso oggetto cinematografico, in merito alla perizia tecnico-visiva che vi viene profusa.

Pastrone era stato da sempre un virtuoso sperimentatore di tecniche cinematografiche, infatti fu uno dei primi registi a girare scene al microscopio, come nel film Padre del 1911, e ad  utilizzare scenografie tridimensionali e realistiche.

Noti sono poi i suoi esperimenti per migliorare la stabilità delle immagini (inventò e brevettò il “fixité”, un procedimento per impedire lo slittamento della pellicola) e per mettere a punto la sincronizzazione tra immagini animate e suono registrato su dischi.

Dal punto di vista dello specifico linguaggio filmico, quella di Cabiria è però, soprattutto, una grande indagine sullo spazio alla ricerca della profondità di campo e della più verosimile tridimensionalità (nel tentativo anche di sopperire alla piattezza ingenua dei fondali dipinti) in virtù dell’uso, straordinario per quell’epoca, dei movimenti di macchina: la macchina da presa finalmente si libera della staticità dell’inquadratura fissa e inizia a muoversi all’interno di scenografie imponenti e maestose. In Cabiria si realizza  la prima completa affermazione del cinema narrativo e la padronanza del suo linguaggio.

cabiria
Esempio di profondità di campo in Cabiria – 1914

Nella storia del cinema, Cabiria è stato il primo film in cui è stato utilizzato, per le riprese, il dolly (carrello), che Giovanni Pastrone fece brevettare a nome della casa produttrice, l’Itala Film rivendicandone però l’invenzione. Infatti questo tipo di movimento di macchina era noto ai contemporanei come “movimento Cabiria”.

Cabiria riscosse un successo internazionale, restò in cartellone per sei mesi a Parigi e per quasi un anno a New York e sull’onda dell’ammirazione per questo “capolavoro” molti registi cominciarono a lavorare utilizzando e sperimentando un linguaggio cinematografico, che sapesse codificare il cinema come opera narrativa (utilizzo della soggettiva, dei raccordi sull’asse, del montaggio analitico, cambiamenti dei punti di vista sulle scene, evidenziazione di dettagli, focalizzazione sugli stati d’animo, ricorso a espedienti per rendere la storia chiara, comprensibile, lineare, anche se il film era muto).

nascita di una nazione
Birth of a Nation (Nascita di una nazione) – 1915 – Griffith tratto dal romanzo “Clangman”

David Wark Griffith si ispirò proprio al carrello alla Cabiria per la realizzazione dei suoi più celebri lungometraggi dell’epoca del muto, soprattutto per le riprese paesaggistiche, e nel 1915 realizzò il suo capolavoro Nascita di una nazione, un lungometraggio che viene preso come spartiacque tra il cinema delle attrazioni e il cinema narrativo.

Il film segnò la creazione di un linguaggio, nel quale tutte le sperimentazioni dei decenni precedenti venivano a trovare un loro posto per la creazione di particolari sensazioni ed effetti e nel narrare la storia: ecco che il montaggio alternato diventava utile nelle scene di inseguimento, il raccordo di soggettiva serviva per guardare un particolare, il primo piano aiutava a costruire la psicologia del personaggio, ecc. La velocità del montaggio, confrontata con la fissità e staticità delle scene nel cinema precedente, produsse inattese, impensate emozioni nel pubblico, facendo nascere un nuovo stile e un nuovo modo di raccontare: il cinema narrativo.

Intolerance 1916
Intolerance – Un film di D.W. Griffith. Muto, USA, 1916. Quattro episodi distinti per dimostrare come il seme dell’intolleranza abbia sempre germogliato nell’animo umano.

Il rapporto tra quello che si intendeva raccontare e quello che si mostrava, con Griffith si inverte: prima la storia era un pretesto per metter su visioni e sfolgoranti effetti speciali, ora l’interesse primario è la vicenda raccontata.

Il regista si sostituisce all’imbonitore, che conduceva il pubblico nella storia,  diventando il “narratore invisibile”, che dirige il tutto, lasciando che le immagini raccontino da sole coinvolgendo il pubblico, nelle vicende proiettate.

Con le opere successive Griffith raffina la sua arte e il suo cinema diventa anche uno stimolo alla riflessione dello spettatore, come in Intolerance del 1916, nel quale attraverso il racconto di quattro storie diverse, montate in parallelo, sollevava l’interesse su temi umani importanti quali l’intolleranza, la pace e l’armonia.

Con l’approdo al cinema narrativo cominciano a delinearsi con maggiore chiarezza i generi cinematografici, che verranno poi sviluppati e codificati sistematicamente negli anni trenta:

Genere storico/biblico/mitologico/in costume.

Era un genere molto praticato, che ispirò anche produzioni con grande impiego di mezzi, partecipazione di attori, maestosità di scenografie ed  effetti speciali e supportate nel lancio da intense e mirate campagne pubblicitarie.

ben hur 1925
Ben-Hur film storico USA del 1925

Dagli anni trenta, soprattutto in Italia, questi film lunghi e monumentali saranno definiti colossal o kolossal (ovvero colossale), termine coniato per  Gli angeli dell’inferno del 1930, prodotto e diretto da Howard Hughes.

In una pellicola di questo tipo sono, ovviamente, investite ingenti somme di denaro, oltre a notevoli sforzi organizzativi, e, se non si riscuotono grande successo e conseguente  cospicuo ritorno economico, si possono avere ripercussioni finanziarie tali da decretare il fallimento della casa cinematografica, oltre a riscontri negativi in termini d’immagine per le star che interpretano la pellicola.

Genere drammatico-sentimentale di ambientazione moderna.

Praticando questo genere Jesse Lasky, fondatore insieme a Adolph Zukor della Paramount Pictures, mise a punto un sistema di illuminazione (“illuminazione Lasky” o “alla Rembrandt“), che lasciava in ombra quasi tutta la scena, tranne un un personaggio o un soggetto illuminato con una luce forte, spesso di taglio orizzontale, in modo da farlo emergere straordinariamente sullo sfondo, con grande effetto drammatico. La prima applicazione di questo effetto si trova nel film I prevaricatori di Cecil De Mille del 1915.

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Locandina del film lo sceicco – 1921 – con Rodolfo Valentino e
Agnes Ayres prodotto dalla Paramount Pictures

Un maestro del cinema americano degli anni Venti, che praticò questo genere fu Erich von Stroheim, austriaco naturalizzato statunitense, con una biografia da star creata su misura che lo ritraeva come un aristocratico ricco e decadentista, in fuga da Vienna. In realtà era figlio di un cappellaio di famiglia ebrea.

Esperto di ruoli da cattivo, magistralmente interpretati, tanto da conquistarsi  l’epiteto di “uomo che si ama odiare“, come regista aveva una visione del cinema quale arte grandiosa e colossale. I suoi film erano lunghissimi, con messe in scena sfarzose e accurate ed enormi scenografie, il che generava ovviamente costi elevatissimi, che mettevano in difficoltà i produttori con i quali lavorava.

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Mariti Ciechi – 1919 – di e con Erich von Stroheim – Locandina

I suoi primi lungometraggi (Mariti ciechi del 1918 e Femmine folli del 1921) sono intrisi di sensualità,  con storie crudelmente provocanti, che portano a galla l’ipocrisia della società borghese.

Il suo film più celebre per i costi e le vicende è Rapacità (Greed del 1924) adattamento del romanzo McTeague di Frank Norris. Von Stroheim volle darne una versione cinematografica il più possibile fedele, cercando di esprimere al meglio lo stato d’animo dei personaggi e girando nelle location originali del romanzo San Francisco, Sierra Nevada e perfino nel deserto della Valle della Morte, dove le condizioni climatiche erano insopportabili.

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Greed (Rapacità – 1924) – diretto da Erich von Stroheim – locandina

Fece grande uso della profondità di campo, poco utilizzata dei registi americani che preferivano immagini meno dettagliate, più semplici da comprendere perché lo sfondo poteva distrarre o spettatore, in modo da caricare le inquadrature di più significati, magari opposti, dove lo sfondo esprime esattamente il contrario di ciò che si sta rappresentando, contraddicendolo, portando alla luce connotazioni diverse dal reale narrato, oppure esasperando una situazione, sottolineando una condizione o uno stato d’animo, il tutto in modo intenso quasi crudele.

La sua tecnica, detta dei conflitti nell’inquadratura, verrà ripresa e raffinata in seguito da registi di grande levatura come Orson Welles e Jean Renoir.

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Greed (redia diErich von Stroheim – 1924) – scena del matrimonio col funerale sullo sfondo

La scena del matrimonio è tra le più famose del film, girata nello stile cinico e crudele di von Stroheim.

nel corso del lieto evento, il regista con la profondità di campo inquadra un lugubre presagio: un funerale che sta passando sotto le finestre della casa, creando un conflitto nell’inquadratura, dove la scena in primo piano viene sovvertita nel significato dalle immagini sullo sfondo.

Le riprese durarono 9 mesi e il risultato finale fu un film della durata smisurata di 7 ore per un totale di 42 bobine. Le spese di produzione furono ovviamente spaventose 470.000 dollari, una somma incredibile per l’epoca.

Un film così lungo non poteva essere proposto al pubblico e la MGM ordinò a von Stroheim di ridurre la pellicola ad una durata accettabile. Con grande disappunto presentò una versione tagliata della durata di circa 4 ore.

Sinfonia nuziale (The Wedding March) del 1926
Sinfonia nuziale (The Wedding March) del 1926 scritto, diretto, montato e interpretato da Erich von Stroheim, che curò anche i costumi

Poichè era ancora troppo lunga, la produzione fece ridurre ancora la pellicola da dei montatori professionisti, arrivando ad una versione di meno di due ore di durata, dove vennero tagliati e distrutti interi personaggi e parti del racconto, tanto che Rapacità divenne uno dei più celebri film perduti di Hollywood.

Greed fu un vero insuccesso e venne aspramente bocciato dalla critica. Il pubblico intedeva il cinema come puro mezzo d’intrattenimento, non era pronto per un’opera così complessa, vera sfida alla cultura sociale dell’epoca.

Queen Kelly - 1928
Queen Kelly – 1928 – locandina

Dopo questo flop von Stroheim fu tenuto sotto controllo dalla dirigenza della MGM e la sua carriera di regista si concluse con l’avvento del sonoro. Infatti nel nel 1928 quando stava girando Qeen Kelly, con Gloria Swanson come protagonista, un’altro film cinico, probabilmente destinato ad essere considerato maledetto dalla critica dell’epoca, la produzione, rappresentata dalla stessa Swanson, colse l’occasione dell’arrivo del sonoro per interompere le riprese. Il film venne distribuito solo in Europa, con un finale improvvisato e riparatore.

 

I film di Stroheim hanno una carica sensuale e erotica intensa e particolare definita da “violenza erotica”.

Genere western

Genere nel quale divenne famosissimo all’epoca del muto: Tom Mix, primo cowboy cinematografico. Egli incarnava l’eroe, il buono, che aiuta i deboli. Era sempre vestito di bianco, in antitesi coi sui nemici,  vestiti di nero, per un’identificazione netta tra buoni e cattivi della massima chiarezza.

tom mix
Tom mix in No Man’s Gold (1926).

genere gangster

Genere cinematografico incentrato sulle imprese di criminali abituali, che svolgono attività illegali facendo ricorso a metodi violenti, oppure sul conflitto tra singoli delinquenti e l’organizzazione, o tra bande rivali. The musketeers of Pig Alley del 1912 di David W. Griffith, primo lavoro da sceneggiatrice di Anita Loos, rappresenta anche il primo significativo esempio di questo genere cinematografico, spesso utilizzato per riflettere sulla disperazione delle classi proletarie e le condizioni di vita dei bassifondi delle grandi metropoli americane, dove la malavita diventa scelta obbligata per riuscire a campare a stento o scelta per arricchirsi e acquisire potere, a discapito della vita umana e di qualunque legge e norma civile e morale.

genere comico

Il genere comico fu quello più praticato e popolare dell’era del muto americano,  quindi quello in cui si sviluppò maggiormente il linguaggio cinematografico, soprattutto per dare risposte adeguate, alle necessità imposte dalla sua principale peculiarità: la velocità. Gran parte delle gag infatti si sviluppavano intorno a inseguimenti, corse, piroette, acrobazie, che un montaggio appropriato rendeva frenetiche e vibranti.

larry semon ridolini

Larry Semon nei panni di Ridolini, personaggio dal viso infarinato con pantaloni appena sotto le ascelle, che lasciano scoperte le caviglie, ed un cappellaccio che non casca mai, nonostante le ardite acrobazie.

Semon seppe rivaleggiare alla pari con i grandi della commedia del periodo (dal 1918 al 1927): Chaplin, Stanlio & Ollio, Harold Lloyd, Buster Keaton, contendendosi i favori del pubblico. Il suo stile era semplice, composto da gag, azione e movimento, ma mentre Charlot tendeva spesso a far riflettere sulle condizioni sociali e Buster Keaton non sorridesse mai, al contrario Ridolini aveva sempre il sorriso stampato sul volto ed era sempre in movimento, facendo lavorare e muovere ogni parte del suo corpo. Oggi è ritenuto un comico minore, ma la sua indubbia levatura artistica ne perpetua la memoria.