Il cinema italiano nasce in concomitanza a quello francese. Nel 1894 Filoteo Alberini studiando il kinetoscopio di Thomas Edison inventa e brevetta il kinetografo, un apparecchio per la ripresa e la proiezione; tale invenzione viene quindi sviluppata un anno prima di quella dei Fratelli Lumière, ma, a causa di un intoppo burocratico, il Ministero dell’Industria e Commercio rilascia il brevetto (n° 245032) solo un anno dopo la richiesta di Alberini, precisamente nel dicembre 1895, mese e anno in cui Louise e Auguste Lumière presentano per la prima volta il loro cinématographe, il 28 dicembre 1895 a Parigi.
L’entusiasmo per il cinematografo in Italia è vitale da subito e lo dimostra la profiqua collaborazione tra gli operatori italiani e la Ditta F.lli Lumière, con la realizzazione di riprese in giro per l’italia, nelle principali città. Questi primi filmati perlopiù ripresi nel classico stile documentaristico dei Lumière, incontrarono subito la curiosità entusiastica del pubblico, che incoraggia la produzione di sempre nuove pellicole, predisponendo le basi per la nascita dell’industria cinematografica.
Accanto alle “vedute Lumière” cominciarono a comparire quasi subito anche i primi film di finzione, scene farsesche, film di trucco e attrazione e a soggetto sacro.
Tra i primi artisti italiani a utilizzare precocemente il cinematografo dei Lumière si distingue il grande trasformista Leopoldo Fregoli, che tra il 1897 e il 1899 realizza numerosi brevi filmati a complemento dei suoi spettacoli teatrali.
Nel 1896, appena un anno dopo la prima presentazione del cinematografo a Parigi, Italo Pacchioni, dopo aver visto i filmati dei Lumière e aver tentato invano di ottenere una delle loro macchine, ne realizza una in proprio, con la quale sempre nel 1896 filma Arrivo del treno alla Stazione di Milano, molto simile all’opera originale dei fratelli fancesi, proiettato in prima assoluta a Mirandola, città natale del Pacchioni, il 31 ottobre 1896.
Il successo ottenuto motiva Pacchioni a girare l’Italia con la sua invenzione, proponendo spettacoli a un pubblico pagante. Il sonoro era costituito da gruppi musicali improvvisati e non c’erano didascalie. Italo Pacchioni abbandona l’attività cinematografica nel 1902.
Come in Francia e in Inghilterra anche in Italia si sviluppa il fenomeno dei cinematografi ambulanti, non solo proiezioni nelle grandi città, in sale adibite e quindi frequentate da un pubblico colto, ma anche nelle strade e nelle piazze dei paesi, nelle zone rurali, animazione per fiere, mercati, feste paesane.
Il cinematografo ambulante diffonde questa nuova forma di intrattenimento sul territorio, non solo offrendo proiezioni di film già realizzati, ma spesso coinvolgendo gli abitanti locali nelle riprese, cosa che piaceva molto: le persone si facevano riprendere e poi si riguardavano nella proiezione. In questo modo il cinema coinvolgeva la gente e fu proprio grazie ai cinematografi ambulanti, che il cinema riuscì a sopravvivere e affermarsi
Filoteo Alberini, che nel 1894 inventa il kinetografo per riprendere, proiettare e stampare film, nel 1899 apre la prima sala cinematografica in Italia: si tratta della sala Reale Cinematografo Lumiere, inaugurata nel 1899 a Firenze. Nel 1904 a Roma apre la prima sala di proiezione della capitale, il cinema “Moderno” in piazza Esedra, e sempre nel 1904 fonda, con l’amico Dante Santoni, la casa Primo Stabilimento Italiano di Manifattura Cinematografica Alberini e Santoni, che nel 1906 cambia nome in Cines, con sede a Roma, nel quartiere San Giovanni.
Nel 1905 Filoteo Alberini gira La presa di Roma, uno dei primi lungometraggi italiani a soggetto (cioè con una sceneggiatura specifica.)
Questa pellicola, lunga 250 metri (generalmente all’epoca la lunghezza media era di 60 metri), costò 500 lire e fu Il primo film italiano ad essere proiettato in pubblico, proprio innanzi a Porta Pia, la sera del 20 settembre 1905, in occasione del 35° anniversario della Presa di Roma, avvenuta con la Breccia di Porta Pia
Di quest’opera, pietra miliare nella storia del cinema italiano, non ci sono prevenuti che pochi frammenti.
Da questo momento in poi la cinematografia italiana si sviluppa seguendo una rapida crescita e un notevole consolidamento anche a livello mondiale, questo grazie al progressivo aumento del metraggio delle pellicole, al perfezionamento dei proiettori e delle attrezzatre specifiche, alla riduzione dei prezzi d’ingresso, alla crescente necessità di rinnovare l’offerta dei film per rispondere alle richieste del pubblico, che invogliano a investire nel settore, creando le condizioni per la diffusione di sale cinematografiche permanenti, soprattutto nelle grandi città Torino, Milano, Napoli e Roma, ma non solo.
Tutti questi fattori insieme al clima futurista, che si andava delineando, che promuoveva la modernità e lo sviluppo della tecnica fanno decollare la produzione italiana, che diventa presto competitiva a livelli internazionale.
Oltre all Cines, già Primo Stabilimento Italiano di Manifattura Cinematografica Alberini e Santoni, nata a Roma nel 1905, nel 1906 a Torino si costituisce la Società Collettiva Ambrosio & C., per iniziativa di Arturo Ambrosio, titolare di un negozio di ottica e fotografia, appassionato della nuova arte, mentre l’anno successivo viene fondata la Carlo Rossi & C., dalle cui ceneri nasce, nel 1908, l’Itala Film di Carlo Sciamengo e Giovanni Pastrone, portando Torino a imporsi come polo significativo della cinematografia italiana.
Cabiria, ambientato nella Cartagine del III secolo, aveva una durata di circa tre ore e per girarlo si impiegarono centinaia di comparse, elefanti, scenografie imponenti, effetti speciali; questi ultimi, curati dal regista aragonese Segundo de Chomón, a cui era affidata anche la direzione della fotografia, comprendevano anche l’eruzione dell’Etna. Per la proiezione del film Ildebrando Pizzetti compose appositamente la Sinfornia del fuoco come accompagnamento musicale in sala.
Nella storia del cinema, Cabiria è stato il primo film in cui è stato utilizzato, per le riprese, il dolly (carrello), inventato dallo stesso Giovanni Pastrone e brevettato da questi a nome della casa produttrice, l’Itala Film. Infatti questo tipo di movimento di macchina era noto ai contemporanei come “movimento Cabiria”.
La sceneggiatura venne invece firmata da Gabriele D’Annunzio e com’era uso all’epoca, venne accreditato come l’autore del film. Infatti ai tempi di Cabiria non era il regista ad essere considerato autore dell’opera, ma lo sceneggiatore, cioè l’autore del testo.
In realtà i testi erano di Giovanni Pastrone il regista, accreditato con lo pseudonimo di Piero Fosco, chè ingaggiò D’Annunzio, allora popolare personaggio di spicco, pagandolo cospicuamente – 50.000 lire (oltre 200.000 euro di oggi) -, solo per sfruttarne il nome a fini promozionali e il Vate con quei soldi pagò dei debiti, da cui era sempre sommerso, ma in pubblico ne parlò col consueto disprezzo, dicendo che li aveva spesi in carne rossa per i suoi cani.
L’apporto del Vate si limitò, forse, all’invenzione del nome di alcuni personaggi, come quello della protagonista, Cabiria e del suo comprimario il possente Maciste, e alla supevisione delle didascalie, le famose “didascalie vergate”, che infatti appaiono evocative ed estremamente pompose.
Il soggetto del film non è neanche stato ispirato dalle opere o dai suggerimenti di D’Annunzio, ma da Cartagine in fiamme racconto di Emilio Salgari, scrittore veronese vissuto a Torino, cosa che irritò moltissimo D’Annunzio, che non apprezzava Salgari per niente. Tanto che se in pubblico esaltava il film con parole auliche, in privato e nei salotti che amava frequentare, non esitava a denigrarlo come “boiata”.
Il film è ambientato durante la Prima Guerra Punica e Cabiria è una bambina, figlia del ricco Batto, che viene salvata dall’eruzione dell’Etna da alcuni servitori, tra cui la nutrice Croessa. Fuggendo da Catania si dirigono verso il mare dove vengono fatti prigionieri dai pirati fenici che li vendono come schiavi a Cartagine.
Cabiria è scelta per essere sacrificata al dio Moloch, ma Fulvio Axilla, un romano che vive a Cartagine con il suo schiavo Maciste, informato da Croessa, riesce a strappare la piccola dal suo destino fra le fiamme. Caduti vittima di un agguato dovono affidare Cabiria alle cure della regina Sofonisba, la sorella di Annibale, il quale sta attraversando le Alpi con le sue truppe. Dopo la salvezza di Siracusa, dovuta alla genialità di Archimede, Cabiria diventa la confidente della regina e assiste al suo suicidio proprio mentre Scipione l’Africano sconfigge i cartaginesi.
L’importanza di Cabiria nella storia del cinema è legata principalmente all’innovazione delle riprese col carrello, che Pastrone inventò e utilizzo profusamente, e alle profondità di campo, necessarie a inquadrare e valorizzare le mastodontiche scenografie barocche.
Rappresenta la prima completa e affermazione del cinema narrativo e la padronanza del suo linguaggio, con un uso della macchina da presa che finalmente si libera della staticità dell’inquadratura fissa e inizia a muoversi all’interno di set e location colossali.
Cabiria contribuisce ad introdurre una volta per sempre i movimenti di macchina come mezzo indispensabile del linguaggio narrativo, tanto che, nei primi tempi, le riprese fatte col carrello vennero chiamate rispettivamente riprese alla Cabiria e carrello alla Cabiria. Griffith ricorse proprio al carrello alla Cabiria per la realizzazione dei suoi più celebri lungometraggi.
Uno dei personaggi principali di Cabiria è Maciste, personaggio che conquistò totalmente il pubblico. Nato con questo film è diventato eroe ricorrente di tanti altri, un icona del cinema italiano, tanto che la parola Maciste, nel parlare comune, è usato per definire un uomo dal fisico possente e di grande forza.
Quindi da personaggio la cui vita è ambientata nel III secolo a.C (era interpretato da Bartolomeo Pagano, attore non professionista, che prima faceva lavori di facchinaggio al porto) è diventato un eroe mitologico di straordinaria forza e bontà, protagonista di molti film del genere peplum e non solo, in voga soprattutto negli anni ’60.
L’origine del nome Maciste, attribuita a Gabriele d’Annunzio, deriva da un antichissimo soprannome del semidio Ercole e proviene dal greco mékistos superlativo di makròs (grande).
Nonostante il successo internazionale del film di Pastrone, il ruolo del regista in Italia resterà ancora per diverso tempo una figura di secondo piano. Oltre alla diffusa abitudine di attribuire allo sceneggiatore la paternità dell’opera cinematografica, il regista è anche sottoposto alle esigenze e al volere dei produttori, come avveniva anche negli Stati Uniti, ma in Italia, più che altrove, il suo ruolo è scavalcato dai voleri e dai capricci delle grandi dive. Sono queste a scegliere, nella maggior parte dei casi, il tipo di fotografia, l’inquadratura e la sua durata, dove posizionare la macchina da presa etc.
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