Don Juan è stato un successo enorme al botteghino, ma le somme incassate non sono riuscite a coprire le costose spese di produzione. Dopo un periodo di titubanza, i fratelli Warner decidono di continuare a credere nel sonoro e producono con la tecnologia Vitaphone Il cantante di Jazz (The jazz singer) interpretato da Al Jolson, che debutta il 6 ottobre 1927 sempre al Warners’ Theatre di New York City: è la data ufficiale dell’avvento del sonoro al cinema.
Nello stesso periodo in cui la Warner Bros. sperimentava per applicare il sonoro ai suoi film, anche altri studios percorrevano la stessa strada.
La Fox Film Corporation, per esempio, nel novembre del 1927 distribuiva nelle sale il film Aurora (Sunrise – a Song of two Humans), girato come un film muto, con successiva aggiunta della colonna sonora col sistema del Movietone, un metodo ottico sound-on-film, che aveva brevettato truffando un ingenuo inventore siciliano, Giovanni Rappazzo. Il Movietone permetteva di registrare il suono, come una traccia ottica di impulsi luminosi sulla stessa striscia di pellicola, che registra le immagini.
Tutto questo significava che, aldilà dei problemi connessi, si sentiva la necessità di dare al cinema ciò che ancora mancava e che limitava l’espressione artistica e narrativa: la sonorizzazione. Il cinema era pronto per superare il muto ed entrare in una nuova era.
L’anno successivo la Warner produceva Lights of New York di Brian Foy – 1928 , primo film interamente parlato.
In breve si passò dal sistema sincronizzato sound-on-disk come il Vitaphone al sistema della pellicola sonora (sound-on-film), che comportava meno problemi in fase di proiezione, poiché evitava gli inconvenienti della perdita di sincronizzazione.
Nel maggio del 1929, la RKO Pictures produsse il musical Syncopation, il primo film realizzato in RCA Photophone – sound on film -. La pellicola ebbe un grande lancio pubblicitario, in quanto fu il primo film ad essere trasmesso via radio
Quando il film debuttò all’Ippodrome di New York, rimase in cartellone due settimane, battendo tutti i record d’incasso del teatro per un film.
Nel periodo di convivenza dei due metodi di sonorizzazione, le maggiori case di produzione americane siglarono un accordo, con il quale si impegnavano ad adottare un sistema comune per la registrazione e riproduzione del sonoro e la scelta cadde sulla pratica ed economica pellicola sonora col sistema del Photophone, messa in commercio dalla RCA, consociata della General Electric.
La Warner Bros. mantenne vivo il marchio “Vitaphone”, ancora diverso tempo dopo l’accordo fra Studios, per la sua produzione di cortometraggi. La The Vitaphone Corporation è ricordata soprattutto per i cartoni animati Looney Tunes e Merrie Melodies.
In Russia il cinema sonoro si diffuse con maggiore lentezza rispetto al resto dell’Europa. Il cinema sovietico adottò il sonoro più tardi e, anche se nel 1929 furono girati alcuni cortometraggi sperimentali, il primo lungometraggio parlato uscì solo nel 1931.
Per molti anni il suono continuò a essere considerato un lusso in Unione Sovietica; l’ultimo film muto uscì nel 1936, e fino al 1947 si continuò a proiettare versioni mute di film sonori.
Accanto ai problemi tecnici c’erano questioni ideologiche. Agli inizi del 1931 il Partito aveva bloccato l’importazione di film stranieri e, per quanto riguarda la produzione nazionale, l’introduzione del sonoro in Unione Sovietica coincise con lo stringersi della morsa della censura staliniana, che vedeva ogni genere di sperimentazione con sempre maggiore sospetto; i grandi sperimentatori furono messi al bando o costretti a lavorare a pellicole leggere, divertenti che diffondessero un’idea di un’Unione Sovietica serena, allegra, priva di problemi e quindi non suscettibile di critiche, un cinema fatto per celebrare i successi del regime e nasconderne i drammi.
Questo genere di pellicole si affiancavano a una mirata produzione di film di propaganda politica.
Conseguenza di tutto questo fu che la cinematografia sovietica visse un periodo di profonda crisi sia creativa, che economica.
Il punto di vista dei cineasti sovietici nei confronti dell’innovazione del sonoro si esplicitò nel Manifesto sull’asincronismo (1928), sottoscritto da Sergej M. Ejzenštejn, Vsevolod I. Pudovkin e Grigorij V. Aleksandrovin all’indomani dello sviluppo delle prime tecnologie per la sonorizzazione del cinema.
In esso i tre registi introducono il concetti di contrappunto e di montaggio sonoro, poiché, risiedendo il principio del cinema nel montaggio, il suono diviene elemento di un montaggio audiovisivo e non semplice accompagnamento alla successione delle immagini.
Essi non sono contrari all’avvento del sonoro, in cui, anzi, vedono un evoluzione indispensabile per la cinematografia, ma si pongono il problema di non nuocere all’arte del montaggio, elemento principale e fondamentale, e di non ricadere in una fase di attrazione, utilizzando gli effetti sonori per suscitare curiosità nel pubblico.
Quindi non doveva esserci corrispondenza tra immagini e suono, il quale doveva essere utilizzato in senso contrappuntistico, cioè la colonna sonora non doveva limitarsi ad enfatizzare il contenuto delle immagini, ma opporsi ad esse, introducendo elementi nuovi non espressi visivamente, vale a dire non in sincrono con le immagini, in quanto il sincronismo produce una pericolosa illusione di verità, riducendo il cinema a un cinema-attrazione o ad una semplice riproduzione naturalistica del reale.
Un esempio di uso contrappuntistico del sonoro può essere un personaggio che sente nel presente le parole che un altro personaggio ha pronunciato nel passato, oppure le immagini possono mostrare eventi del passato, mentre la voce fuori campo narra questi eventi nel presente o ancora far accompagnare una scena drammatica o triste da un brano allegro, che ne metta in risalto la drammaticità.
In pratica si dovevano applicare i metodi del montaggio visivo anche alla colonna sonora, cercare forme espressive in grado di indirizzare l’uso del suono nella direzione del contrappunto, della conflittualità tra colonna visiva e sonora al fine di garantire il primato del montaggio, come principio organizzatore e estetico del film.
Purtroppo le sperimentazioni vennero soffocate dalla politica di partito, che ridusse qualunque produzione a uno mero strumento del regime.
Come tutti i grandi cambiamenti anche l’avvento del sonoro trovò le sue resistenze, poiché cambiava l’estetica e le tecniche di linguaggio filmico. Quei cineasti, che avevano fatto dell’assenza della parola e del suono il principio strutturale della loro espressione artistica, furono reticenti a tale innovazione, così come i nostalgici e i conservatori.
La coppia Stanlio & Ollio riuscì a resistere alla prova dell’avvento del sonoro fino al 1929, ma poi dovettero piegarsi all’evidenza: il sonoro aveva conquistato il mondo del cinema e soprattutto il pubblico, e se volevano continuare la loro carriera dovevano adattarsi al nuovo modo di fare film e vi riuscirono con successo. Il loro primo cortometraggio interamente sonoro, con musica, effetti sonori e parlato, fu Non abituati come siamo – Noi novellini (Unaccustomed As We Are).
Sunset Boulevard (Viale del tramonto) del 1950 – Capolavoro di Billy Wilder, che racconta il fascino del divismo, ma anche i suoi orrori.
La protagonista Norma Desmond ormai cinquantenne – interpretata da Gloria Swanson, vera diva del muto – incapace di adattarsi ai tempi ormai cambiati, incarna un mondo dimenticato, quello degli ex-divi, un tempo acclamati come semidei e poi abbandonati. Nel film Wilder ci mostra tutta la potenza del cinema muto e la forza espressiva del primo piano, perdute con l’avvento del sonoro. «Non avevamo bisogno di parole, avevamo dei volti!» dice Norma Desmond.
Nel cast anche un’altro divo della silent era Erich von Stroheim
Buster Keaton non riuscì invece ad assorbire il cambiamento ed ad evolvere, il sonoro esigeva un tipo di recitazione e un linguaggio cinematografico che non riuscì a fare suoi e praticamente la sua carriera finì con l’affermarsi del sonoro.
Tanti attori furono tagliati fuori e dovettero ritirarsi dalle scene a causa della loro voce, perché appariva sgradevole oppure inadeguata al film parlato, per timbro, accento etc. oppure perché non vollero o non seppero evolversi nella loro arte recitativa, in parte per la convinzione che l’audio stesse decretando la fine della vera espressione, in parte perché il divo non aveva bisogno di parlare, gli bastava essere bello e i suoi tratti estetici avrebbero definito il suo ruolo e la sua funzione, cosa che col nuovo mezzo espressivo non era più sufficiente, occorreva interpretare il film, rendere il personaggio.
The Artist, film muto e in bianco e nero del 2011, scritto e diretto da Michel Hazanavicius, racconta i problemi del passaggio al sonoro, che fu la rovina di molte star del cinema muto, attraverso le vicende di George Valentin grande divo della silent era sul viale del tramonto, interpretato da Jean Dujardin
Charlie Chaplin non si adattò con entusiasmo alla nuova tecnica, che non rispondeva alle sua visione di eleganza e poesia. Fece fatica ad adeguarsi. Applicò il sonoro ai suoi film per quanto riguarda la colonna musicale, ma rimase fedele alla pantomima per scelta poetica.
Compose lui stesso le musiche di molti suoi film, ed esigeva che fossero eseguite con “contrappunto di grazia e delicatezza, che esprimesse il sentimento, senza il quale l’opera d’arte è sempre incompleta”.
Per arrivare al primo film con dialogo di Chaplin si deve arrivare al 1940 con Il Grande Dittatore (The Great Dictator), nel quale ormai il suo genio ha vinto la nostalgia e fatto proprio il mezzo sonoro, superando la prova con bravura e classe.
La colonna sonora (Soundtrack) è la parte audio di un film composta da dialogo, rumori ed effetti sonori e musica e non è da confondere con il sottofondo musicale (BackGround Music) o colonna musicale con cui s’intende la partitura strumentale della colonna sonora musicale, che comprende anche le eventuali canzoni
L’etimologia del termine “colonna sonora” deriva dalla parte della pellicola cinematografica dove venivano registrati gli effetti sonori, in senso longitudinale e in un’area ben delimitata chiamata “colonna”, tramite impressione di impulsi luminosi, che letti da un apposito apparato del proiettore, si trasformavano in suoni.
Anche se ormai il passaggio al digitale ha eliminato la pellicola, il termine colonna sonora è rimasto a identificare l’audio del prodotto cinematografico o televisivo
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