L’avvento del sonoro, come tutte le grandi innovazioni, comportò una serie di problemi e non da poco, tra cui quelli di accettazione vera e propria del cambiamento.
Registi, operatori, attori dovettero confrontarsi col nuovo mezzo adattando montaggio, sistema di ripresa, sceneggiature, tecniche di recitazione, superando problemi linguistici e di dizione, etc. mentre la produzione faceva i conti con una diversificazione delle tecniche produttive e degli assetti economici dell’industria cinematografica.
L’introduzione del sonoro mise quindi a dura prova l’intero mondo del cinema e inizialmente il sonoro creò tante difficoltà proprio in sede di ripresa.
L’intero processo creativo, dalla sceneggiatura fino al montaggio, subì profondi mutamenti.
“Cantando sotto la pioggia” – (Singin’ in the Rain) – film musicale del 1952 diretto da Stanley Donen e Gene Kelly, racconta con tanta ironia e divertimento i problemi di realizzazione di un nuovo film nel passaggio dal muto al sonoro.
Non esistevano microfoni direzionali quindi li si doveva sospendere tramite cavi o nasconderli dietro gli arredi di scena. Essi registravano tutto, qualunque rumore o fruscio, e non c’era possibilità di mixare le tracce sonore o ripulire le tracce audio.
Riprese di un film negli Studi della MGM all’alba del cinema sonoro
Le macchine da presa piuttosto rumorose dovevano essere chiuse in cabine insonorizzate, protette da spesse lastre di vetro affinché il rumore da esse prodotto non venisse registrato nel film, ciò limitava grandemente la possibilità di movimento e bisognava ricorrere alla tecnica delle cineprese multiple, ovvero registrare la stessa scena da punti di vista diversi usando tre o più macchine da presa. Si dovevano evitare vibrazioni, scricchiolii etc., poiché le tracce sonore non si potevano ripulire.
Il regista non poteva più tagliare le scene a proprio piacimento, perché il montaggio doveva tener conto della colonna sonora.
Per ovviare a questi problemi e avere maggiore libertà di movimento, nei primi tempi alcuni registi continuarono a girare il film come se fosse muto, inserendo battute e colonna sonora in fase successiva.
In questa scena, di Young & Innocent (Giovane e innocente) del 1937 di Alfred Hitchcock, due personaggi stanno cercando un uomo con un tic agli occhi, che potrebbe essere ovunque nell’hotel. Il regista ci mostra la ricerca, arrivando alla localizzazione dell’uomo, attraverso un lungo ed elaborato movimento di macchina, che passa dalla reception, al restaurant, alla pista da ballo fino alla faccia dipinta del batterista dell’orchestra, mostrando chiaramente il suo tic agli occhi.
Una tecnica piuttosto trascurata all’epoca del muto era il movimento di macchina, che divenne un surrogato del montaggio. Esso consentiva di passare dal campo lungo al primo piano o di spostarsi da un dettaglio ad un altro, senza interrompere la continuità di ripresa e rispettando il tempo reale di svolgimento dell’azione. La regia rivelava il suo genio non più attraverso il montaggio, ma racchiudendo un’azione articolata e complessa in un’unica lunga inquadratura, incatenando gli elementi e facendo risultare un solo movimento fluido.
Una conseguenza importante dell’avvento del sonoro fu la stabilizzazione della velocità di registrazione e di lettura delle immagini in movimento. Nel corso della proiezione di film muti si poteva accelerare o rallentare a piacere lo scorrimento, il suono ha imposto la velocità fissa di 24 fotogrammi al secondo, indispensabile per mantenere il sincronismo con la colonna sonora senza distorcerla grottescamente.
Col sonoro i grandi studios, più che avvalersi alle consolidate star miliardarie del muto, cercano nuove proposte e guardano al vaudeville e agli artisti che possono fornire performance nel campo musicale, nel canto, ballo etc.
Tra i nuovi comici, che conquistano pubblico e fama ci sono i Fratelli Marx (Marx Brothers), gruppo formato dai cinque fratelli di origine ebraica, attori di vaudeville, Chico, Harpo, Groucho, Gummo e Zeppo. i fratelli avevano già provato la via del cinema col cortometraggio Humor Risk del 1921, mai distribuito nelle sale, un errore dei F.lli Marx, la cui comicità non era adatta al cinema mutoThe Cocoanuts (Le Noci di Cocco) del 1929 è il loro primo lungometraggio, nonché uno dei primi film sonori della storia del cinema, tratto da una loro piece teatrale, che ebbe grande successo a Broadway. La produzione dovette far fronte a continui problemi e difficoltà tecniche di realizzazione, ma l’elemento comicità funzionò al meglio,
I Fratelli Marx sono, negli Stati Uniti, tra i comici più amati di tutti i tempi, per l’umorismo sferzante, anarchico, surreale, sopra le righe con cui hanno bersagliato l’uomo, la società, e tutte le loro ipocrisie.
L’introduzione del sonoro portò ad un momento di confusione e smarrimento dei cineasti, venivano rivoluzionati le tecniche produttive e gli assetti economici dell’industria cinematografica, si dovevano trovare nuove soluzioni filmiche, per uno sviluppo del linguaggio cinematografico, che sfruttasse le potenzialità del nuovo mezzo: l’audio costituiva un valore aggiunto enorme, in termini di funzione informativa, espressiva e artistica e permetteva soluzioni narrative e uno sviluppo del linguaggio fino ad allora impensabili, trasformando il cinema in un’arte narrativa più completa e matura.
- Col fuori-campo sonoro per esempio, basta far sentire un rumore conosciuto per far comprendere un’intera situazione, che nel cinema muto sarebbe stata scomposta in diverse inquadrature, con perdita anche dal punto di vista della suspense o dell’emozione etc. – per esempio il rumore di sirene indica l’arrivo della polizia, anche se le auto non vengono inquadrate, dal fischio e dal rumore di una locomotiva intuiamo, che il treno è partito, anche se l’inquadratura rimane fissa sulla figura mesta dell’amante abbandonata. La possibilità di utilizzare voci o rumori emessi da fonti non visualizzate sullo schermo, ma date come presenti nel luogo dell’azione ha dilatato i confini dello spazio cinematografico. Si pensi alla natura potenzialmente inquietante delle voci e dei rumori fuori campo, che intensificano la suspense nei thriller e nei film dell’orrore, dando al pubblico l’illusione della presenza concreta di uno spazio molto più vasto e profondo di quello visivo, segregato entro il rettangolo angusto dello schermo.
Carcere (The Big House) film drammatico del 1930 diretto da George W. Hill si aggiudicò il primo premio Oscar per il sonoro della storia del cinema, fu assegnato a Douglas Shearer.
- Il volume, regolabile secondo l’esigenza narrativa, consente di catturare l’attenzione o aumentare l’emozione del pubblico. Si pensi all’incremento improvviso della musica, per mettere in risalto situazioni, aumentare il pathos, supportare il raggiungimento de climax etc., oppure ad un suono fuori campo, che progressivamente si intensifica dando l’impressione dell’avvicinarsi di qualcosa o qualcuno.
- La dissolvenza sonora, che apre o chiude il commento musicale di una scena, che si realizza con un aumento/diminuzione progressivo del volume della musica, o con una brusca interruzione, magari causata da un suono o da un rumore, tanto da creare l’effetto sorpresa.
King Kong – 1933 – prodotto dalla RKO Radio Pictures con la regia di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack.
La colonna sonora composta da Max Steiner contribuì largamente al successo del film, umanizzando Kong e creando un’atmosfera tragica e romantica. La partitura, di circa 73 minuti, accompagna la maggior parte del film ed è costruita sull’utilizzo di leitmotiv, come un’opera di stampo wagneriano.
- Il leitmotiv, tema melodico ricorrente, permette di caratterizzare fatti, momenti o personaggi di un film, mentre l’avvio (o interruzione improvvisa), che si dà quando la musica si avvia o cessa di colpo, accentua un determinato evento.
- La voce poi, che prende il sopravvento su tutto e deve essere sempre udibile quando espressa, per essere agevolmente compresa, diventa lo strumento narrativo principale di drammatizzazione: attraverso il dialogo si forniscono informazioni, si esprimono opinioni, emozioni, sentimenti del personaggio e si delinea la sua psicologia. La voce fuori campo, che è quella del narratore, agisce sul corso delle immagini e ne stabilisce o contraddice il senso. La parola serve a far circolare delle informazioni fra i personaggi del film da una parte e tra il film e il suo spettatore dall’altra. La parola può sostituirsi alle immagini raccontando eventi o descrivendo situazioni.
Gli attori dovevano recitare muovendosi con passo felpato e in modo cauto, evitando rumori involontari per non disturbare l’audio del film e dovevano scandire bene le battute, tanto che gli attori venivano spesso supportati da insegnanti di dizione. Ne conseguiva che la recitazione risultava piuttosto ingessata, ma man mano che si acquisiva dimestichezza con i nuovi mezzi, che diventavano via via più perfezionati, gli attori poterono recitare in modo più libero e sciolto (già nel 1931 arrivò una grande svolta, la possibilità di registrare su diverse piste sonore, permettendo di aggiungere i suoni in sede di montaggio).
Clara Bow, una delle dive più amate del cinema muto, la cui voce venne considerata poco fonogenica e con una fortissimo accento di Brooklyn. Nel 1933 fu costretta a ritirarsi da cinema e negli anni seguenti, le condizioni mentali dell’attrice si fecero via via più instabili.
Il muto aveva obbligato gli attori a prodursi in modo enfatico, manierato, con ampio uso della pantomima, non potendo parlare dovevano ricorrere ad una gestualità assai marcata, avevano sviluppato tecniche peculiari per farsi capire, per riflettere sul proprio volto le battute e i pensieri espressi, anche dal proprio interlocutore, affinché fosse chiaro cosa i personaggi si stessero dicendo. Allo spettatore sembrava di sentirle le parole, al punto da cogliere il peso anche dell’effettivo momento di silenzio.
Finalmente il cinema parlava e necessitava di una recitazione quanto più naturale e realistica. Esigeva attori professionisti. I personaggi non si agitavano più sullo schermo accompagnati da un sottofondo musicale, mentre brevi didascalia davano l’idea del dialogo, ma potevano parlare, cantare, ridere, piangere! E questo cambiava in modo totale il modo di recitare, di pensare e di realizzare il cinema.
I fratelli Barrymore: Lyonel, Ethel e John, qui protagonisti del film Rasputin And The Empress del 1933. Appartenenti a una dinastia di attori, dai genitori star di Broadway alla nipote di John, Drew Barrymore attrice conemporanea. i tre fratelli, grandissimi interpreti, hanno contribuito con la loro arte a fare la storia del cinema. Attori del cinema muto sin dagli anni dieci, hanno superato la prova del sonoro a testa alta e considerevole talento. John ha interpretato il primo film sonorizzato Don Juan del 1926.
Hanno alternato performance a teatro con quelle al cinema, cimentandosi non solo in ruoli di protagonisti, ma anche di caratteristi.
Nel Theatre District di Midtown Manhattan di Broadway a New York c’e l’Ethel Barrymore Theatre fatto costruire dagli Shuberts e inaugurato il 20 dicembre 1928, con “The Kingdom of God”, uno spettacolo selezionato dalla protagonista Ethel Barrymore. È l’unico teatro sopravvissuto dei molti Shuberst costruiti per artisti che erano affiliati a loro.
Il sonoro rappresentò la rovino di tanti attori del muto, di fronte ad un altro modo di fare cinema, dove la narrazione, le tecniche, l’espressione, il linguaggio erano diversi, se non avevano alle spalle una solida carriera teatrale in grado di attutire il colpo o un talento tale da adattarsi al cambiamento con duttilità, furono destinati a cedere il passo.
Lo star-system aveva preso volti attraenti e belle presenze, magari tra la gente comune, e li aveva messi davanti alla macchina da presa, quindi avevano reso celebri le loro immagini, in modo da renderli dei divi amati, invidiati, imitati, osannati, grazie a semplici regole pubblicitarie, e le star avevano garantito la vendita dei biglietti.
Nel corso della silent era Hollywood si erano nutrita e avevano fatto soldi a palate sulla figura dei divi, lo star-system li aveva creati, sostenuti, sfruttati, masticati e alla fine sputati, quando le regole dell’industria cinematografica erano state cambiate dall’introduzione del sonoro.
Mary Pickford e Douglas Fairbanks – qui in una foto del 1920 durante la Luna di Miele – formavano l’indiscussa “coppia reale” di Hollywood della silent era.
Lei conosciuta come “Fidanzatina d’America”, “Piccola Mary” e “La ragazza con i riccioli”, è stata la prima donna a essere presa sul serio a Hollywood, affermandosi nell’affollato panorama maschile del muto, conquistando un peso specifico nella cerchia delle persone che contavano, arrivando ad essere trattata (e osannata) alla stregua dei colleghi uomini e a guadagnare milioni di dollari per un film.
Mary Pickford personaggio significativo nell’evoluzione del cinema è stata la prima donna imprenditrice della film industry americana. Con il secondo marito Douglas Fairbanks, Charlie Chaplin e David W. Griffith nel 1919 fondò la United Artists, una compagnia cinematografica indipendente, con lo scopo di sottrarre al monopolio delle grandi case di distribuzione i film prodotti dagli stessi attori o dai registi che aderivano all’iniziativa. Inoltre è stata tra i 36 fondatori dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, popolarmente conosciuta come l’Academy degli Oscar, di cui il marito fu il primo Presidente.
Lui chiamato il Re di Hollywood finché non finì l’era del muto (quando l’appellativo passò a Clark Gable), fu l’interprete più popolare dei film di avventure, l’eroe cavalleresco e senza paura, che affrontava i nemici con un sorriso di sfida e un’eccellente agilità acrobatica. Non era un grande attore, ma possedeva tutte le qualità del divo.
Essere invitati a Pickfair, la casa della coppia a Beverly Hills, per una cena o un party era un onore ambito. perché era frequentata da personalità del mondo del cinema, della letteratura, della scienza etc. La loro reputazione internazionale era senza riserve. I capi di Stato e le altre autorità straniere, che visitavano la Casa Bianca, spesso chiedevano di poter vedere Pickfair e i due erano costantemente esposti al mondo come ambasciatori non-ufficiali dell’America, anche per la raccolta fondi per lo sforzo bellico dellla Prima Guerra Mondiale. La loro unione finì col divorzio nel 1936, schiacciati dalla fine delle loro carriere.
L’avvento del sonoro fu per entrambi una rovina. La Pickford sottovalutò l’inserimento del suono nei film, affermando che “aggiungere il suono ai film sarebbe stato come mettere il rossetto alla Venere di Milo”. La sua carriera si spense e si ritirò definitivamente della scene nel 1933.
Incapace di reagire alla fine del cinema muto oltre che alle luttuose vicende familiari, divenne alcolizzata. Faribanks si ritirò nel 1934 e morì nel 1939.
I problemi tecnici e strumentali vennero in breve superati man mano che si prendeva confidenza con i nuovi mezzi e man mano che l’innovazione e la sperimentazione trovavano soluzioni sempre più perfezionate, per sfruttare la nuova potenzialità apportata al cinema.
Il sonoro comportò non solo problemi da risolvere, ma anche numerosi vantaggi, trasformazioni positive, nuove professionalità, sviluppo del linguaggio filmico, dell’estetica e degli espedienti narrativi, incremento dell’offerta dei generi cinematografici, arricchimento dei film con numeri musicali e interpreti che eccellevano in campi quali il canto, la danza, la musica etc.
Greta Garbo star e sex symbol assoluto della “silent era”, con l’avvento del sonoro, che con la fine degli anni 20 avrebbe spazzato via molti protagonisti del cinema muto, passò al cinema parlato con successo, collezionando trionfi. Il suo primo film sonoro, Anna Christie (1930) fu lanciato come un evento con lo slogan “Garbo talks”, ovvero “la Garbo parla”.
La sua prima battuta in assoluto fu rivolta a un barman: “Gimme a whisky, ginger ale on the side, and don’t be stingy, baby!”, (“Dammi un whisky, ginger ale a parte, e non essere tirchio, amico!”).
La Garbo si ritirò totalmente dalle scene nel 1941 quando aveva appena 36 anni, ma i motivi erano del tutto personali. Era infastidita dell’esposizione mediatica, dal rutilante ed effimero mondo hollywoodiano e soprattutto voleva lasciare il suo pubblico con l’immagine di una Garbo ancora bellissima, priva dal decadimento dell’avanzare dell’età. Ed infatti è così che la ricordiamo, giovane, algida e splendida.